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Nel 2019 il cineasta guatemalteco naturalizzato belga César Diaz ha vinto la Camera d'or a Cannes con la sua opera prima Nuestras madres su un archeologo forense che cerca la verità sul papà, scomparso durante la guerra civile in Guatemala negli anni Ottanta. Una storia ispirata alla vicenda reale di suo padre (scomparso a inizio degli anni '80, ndr). Un passato che il regista continua ad esplorare in Mexico 86, ispirandosi in parte alla sua infanzia e alla madre, attivista rivoluzionaria che per continuare a combattere contro la dittatura si è anche a lungo separata da lui. Intensa protagonista del film, che debutta in anteprima mondiale al Locarno Film Festival in Piazza grande, è Berenice Bejo.
Una prova che ha una risonanza molto personale anche per l'attrice che è nata a Buenos Aires ma vive in Francia da quando aveva tre anni: "Quando ho incontrato César ho capito che fare il film sarebbe stato anche un modo per parlare della mia famiglia - spiega in conferenza stampa -. I miei genitori sono fuggiti dalla dittatura in Argentina. Qualcosa di cui non mi hanno voluto parlare. La loro risposta è che quei fatti devono rimanere nel passato, dal momento che poi abbiamo avuto la fortuna di vivere in Francia". Accettando il ruolo "ho pensato che avrei potuto trovare risposte anche alle mie domande. Mi sentivo molto frustrata dal loro silenzio, ma mi sono pacificata con Mexico 86. Ho capito che abbiamo anche il diritto di tacere e avere dei segreti. Fra chi ha vissuto fatti traumatici come quelli c'è chi parla e chi no e non si deve giudicare, sono scelte entrambe legittime". Nella storia la diva è Maria, militante della resistenza in Guatemala, da poco divenuta madre, che quando si trova costretta a fuggire, per continuare anche con altri mezzi la sua lotta, prende la decisione di lasciare il figlio Marco (Matheo Labbé) in Guatemala a crescere con la nonna. Oltre 10 anni dopo il bambino raggiunge la madre sperando di poter iniziare una nuova vita insieme, ma la donna sente il dovere di continuare la sua battaglia per la giustizia.
Nel film "racconto qualcosa che fa parte della mia biografia - osserva Diaz -. Ma è anche una riflessione sulla donna e sulla maternità. Mi interessava esplorare come una madre possa essere anche un'attivista politica e come possa dare un senso alla sua vita per cercare di creare un nuovo mondo per il figlio. Fino a decidere anche di fare un sacrificio assoluto, separarsi da lui, pur di dargli un mondo migliore". Fortunatamente "ci sono persone come Maria capaci di mettere anche la loro vita da parte per difendere la democrazia che ancora oggi è maltrattata in così tanti Paesi - sottolinea Bejo -. Quanti però in questa società così egocentrica sarebbero capaci di quel tipo di scelta?". Se "donne come Maria non l'avessero fatta, non so in che mondo vivremmo oggi. Nel film c'è la mia storia, quella di Cesar e la volontà di parlare di queste donne che hanno questo tipo di forza". Bejo si sofferma anche sullo stretto legame creato con Matheo Labbé, che interpreta suo figlio: "Si è creato un rapporto straordinario tra noi, è un bambino molto intelligente, cresciuto da una famiglia amorevole, e che aveva assoluta fiducia in César, nel film è incredibile. Anche se succedeva qualcosa di imprevisto durante una scena, sapeva reagire come fanno solo i grandi attori. Mi sono fatta trasportare dalla sua energia e ho pianto molto quando l'ho salutato, ha un cuore enorme, è un bambino pieno di amore, io lo chiamavo il mio piccolo Leonardo DiCaprio". In un momento nel quale riemergono alcune tendenze negazioniste sul valore della resistenza alle dittature che ci sono state in America Latina, Diaz reputa questo "un film necessario. C'è bisogno di immedesimarsi in queste persone che contro la dittatura si sono alzate e hanno detto no, per difendere i nostri diritti e il Paese".
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